sabato 30 novembre 2024

Nino Salvaneschi

 


Nino Salvaneschi iniziò la sua carriera giornalistica molto giovane, collaborando a vari quotidiani: la Gazzetta del Popolola Stampa di TorinoLa Tribuna di Roma e il Corriere della sera di Milano; fu anche tra i fondatori del giornale sportivo Guerin Sportivo. Durante la prima guerra mondiale si arruolò nella marina svolgendo con senso del dovere azioni che andavano contro i suoi principi d'uomo di pace e di libertà e alla fine del conflitto manifestò tutta la sua contrarietà con alcuni scritti raccolti e pubblicati nel libro Uccidiamo la guerra. Sposò una donna che ebbe molta importanza nel suo destino d'uomo e di scrittore, descrivendola come una creatura mandatagli da Dio e insieme andarono ad abitare a Capri, dove inizierà a scrivere i primi abbozzi del romanzo Sirénide. In seguito fu colpito da una grave malattia, con un susseguirsi di degenze ospedaliere, prima in quella di Rodi poi all'ospedale della Marina di Piedigrotta di Napoli. Questa lunga parentesi forzata della sua vita gli servì per trovare un equilibrio religioso. La sua inquietudine si dibatteva tra Gesù e Buddha. Tutto cominciò dalla lettura di un piccolo libro che ebbe in regalo dalle suore infermiere, L'imitazione di Cristo: questo fu il primo segno della crisi, ma risultò poi nel tempo essere stata la lettura più utile della sua vita, e lo avviò verso la completa devozione alla Chiesa Cattolica. Da quel momento la sua vita fu un peregrinare verso mete che a quell'epoca erano un "refugium peccatorum" per centinaia di fedeli: Assisi e San Giovanni Rotondo da Padre Pio da Pietrelcina che conobbe personalmente nel 1919. Per alcuni anni lavorò come giornalista in Belgio e nel 1921 fondò a Bruxelles L'époque nouvelle, con l'intento di far conoscere l'Italia in quel paese, quando dovette rientrare in Italia a Torino nel 1923 a causa di una cecità permanente e totale, colpito nel fisico ma non nello spirito, continuò a raccogliere pur con gran difficoltà i suoi scritti di letteratura in oltre 30 libri. Il poeta Tagore lo esortò in quest'impresa con l'invito: "Se vuoi essere un cantastorie cieco, guarda la tua vita riflessa dentro di te e scrivi". L'ultimo lavoro che scrisse prima di diventare cieco fu Sirenide. Da questo tragico evento la sua vita fu confortata solo dall'aiuto che dedicava ai suoi compagni per opere di tipo assistenziale. Nel 1926 organizzò un corteo di persone cieche e le guidò in pellegrinaggio a San Damiano, portando in dono un giglio, un olivo e un biancospino, simboli di purezza, umiltà, e tribolazioni e deposta sul luogo dove San Francesco aveva composto il Cantico delle Creature. Morì a Torino nel 1968. Nel novembre 1999 la città di Torino gli ha dedicato in suo nome un'area di circolazione situata nella circoscrizione n.3.

 

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