(Parma, 30 settembre 1907 – Roma, 24 marzo 1944)
è stato un docente e partigiano italiano.
La sua famiglia, originaria di Parma, era molto nota nella città emiliana. Figlio di Guido, ingegnere e deputato socialista, e di Angela Gabrielli. I suoi fratelli erano Nullo, valente ingegnere e collaboratore del padre in diversi progetti, e Ippolito Nievo (1901-1938), celebre violoncellista. Nei primi anni del ventennio fascista, il padre, sfuggì a stento ad un attentato tesogli da squadristi, durante il quale la sua casa e lo studio a Parma furono distrutti, e fu costretto a trasferirsi con la famiglia a Roma. Pilo Albertelli fu docente di Storia e Filosofia nel Liceo Classico Regio di Roma (che poi sarà dedicato al suo nome e che diventerà l'attuale Liceo Ginnasio di Stato Pilo Albertelli), portò significativi contributi alla conoscenza del movimento eleatico, fra cui il suo articolo "La dottrina parmenidea dell'essere" e il suo saggio monografico Gli Eleati: testimonianze e frammenti. Per la sua attività antifascista tra gli studenti fu arrestato nel 1928 e condannato a cinque anni di confino. Svolse a Roma un'intensa e audace opera di organizzazione delle formazioni "Giustizia e Libertà" sin dall'occupazione nazista del 10 settembre 1943, e fu membro del Comitato Militare del Corpo volontari della libertà (CVL). Il 20 settembre 1943, in coppia con Giovanni Ricci, collocò personalmente una mina a miccia rapida nella caserma della Milizia ai Parioli, che causò molti morti e feriti e rappresentò il primo atto di guerriglia partigiana a Roma. Fu tra i fondatori del Partito d'Azione e fu arrestato a Roma il 1º marzo 1944, dietro denunzia di un delatore, per le sue attività nell'ambito della Resistenza. Portato nella Pensione Oltremare, covo in Roma, della famigerata Banda Koch, fu sottoposto a sevizie tali da fiaccarne il corpo ma non lo spirito. Inutile fu infatti il tentativo di fargli confessare l'identità dei suoi compagni di lotta antifascista, le torture ricevute furono tali da rendergli il volto tumefatto e quasi irriconoscibile, il corpo straziato e le costole spezzate, tanto che il trentasettenne filosofo e grecista provò per due volte il suicidio. Il 20 marzo fu quindi trasferito nel carcere romano di Regina Coeli e il 24 marzo 1944 fu ucciso assieme ad altre 335 persone nell'Eccidio delle fosse Ardeatine, meritandosi nel 1947 la medaglia d'oro al valor militare, con la seguente motivazione:
Medaglia d'oro al valor militare
«Lasciati gli studi prediletti per guidare nella battaglia della libertà, anche con l'esempio, gli allievi, prodigandosi nella difesa di Roma, contro l’invasore tedesco, fu tra i primi organizzatori e animatori della lotta di resistenza. Al comando di tutte le forze armate cittadine insurrezionali del Partito d'Azione, sprezzante di ogni pericolo, arditissimo in eroiche imprese, fu luminoso esempio di coraggio e di abnegazione. Arrestato e torturato con selvaggio accanimento, oppose ai carnefici superbo disprezzo e superba volontà di sacrificio, tentando stoicamente, per due volte, di togliersi la vita, pur di non parlare. Con le costole infrante, il corpo maciullato, conservò intatta fino all'ultimo la sua serena superiorità d'animo. Cadde, barbaramente trucidato, alle Fosse Ardeatine[4].»
— Roma, 8 settembre 1943 - 24 marzo 1944
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