
Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto malinconico (1630 circa).
(Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680)
scultore, urbanista, architetto, pittore, scenografo, commediografo e costumista italiano.
Artista poliedrico e multiforme, Bernini è considerato il protagonista della cultura figurativa barocca. La sua opera conobbe un clamoroso successo e dominò la scena europea per più di un secolo dopo la morte; analogamente, l'influenza di Bernini sui contemporanei e sui posteri fu di enorme portata. Gian Lorenzo Bernini primo figlio maschio di Pietro Bernini, scultore tardo-manierista toscano nativo di Sesto Fiorentino, e della napoletana Angelica Galante. Il giovane Gian Lorenzo trascorse i primissimi anni della propria fanciullezza a Napoli, dove il padre Pietro si era trasferito su invito del viceré per lavorare alla certosa di San Martino; Bernini si avvicinò al mondo della scultura proprio nella città partenopea, accompagnando papà Pietro al cantiere e guardandolo affascinato mentre si cimentava nei marmi. Nel 1606 Pietro Bernini si trasferì con la numerosa famiglia a Roma, dove l'aveva chiamato papa Paolo V. La formazione del Bernini avvenne, appunto, nell'ambito artistico romano, sotto la guida del padre Pietro, il quale fu pienamente in grado di valorizzare il precoce talento del figlio insegnandogli i primi rudimenti della scultura. In quegli anni Pietro Bernini era completamente assorbito nel cantiere della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore, voluta da papa Paolo V per ospitarvi il proprio monumento funebre e quello del predecessore Clemente VIII; qui era attiva una cospicua mole di pittori, scultori e decoratori, sapientemente coordinati dall'architetto Flaminio Ponzio. L'accorta regia di Ponzio offrì al giovane Gian Lorenzo spunti di riflessione concreti sull'organizzazione di un cantiere collettivo e sull'importanza di un efficiente lavoro di gruppo, da intendersi come un progetto unitario dove fondere architettura, pittura e scultura, e non come la somma di singoli interventi autonomi: in futuro Bernini avrebbe diretto numerosi cantieri, e quest'intuizione sarebbe stata vincente. Nel frattempo Gian Lorenzo, inizialmente semplice discepolo di papà Pietro, ne divenne un fattivo collaboratore; padre e figlio lavorarono unitamente nel Priapo e Flora di Villa Borghese (dove Gian Lorenzo realizzò le ceste di frutta, con una chiara attenzione al modello naturalista caravaggesco), nella decorazione della Cappella Barberini in Sant'Andrea della Valle e nel Fauno che scherza con i due amorini, dove il retaggio dell'antichità viene rivisitato dai due in chiave moderna. I primi saggi della sua attività di scultore sono da porsi invece fra il 1614 e il 1619, quando in completa autonomia Gian Lorenzo realizzò il San Lorenzo sulla graticola (1614 circa) e il San Sebastiano (1617), dove si avverte una piena adesione ai motivi classici e una prepotente presa di distanze dal gusto tardo-manierista proprio di papà Pietro. Tramite il padre, che ben pubblicizzava il figlio, Gian Lorenzo entrò in contatto con il suo primo committente, il cardinale fiorentino Maffeo Barberini, che gli commissionò dapprima alcuni interventi su una delle Pietà incompiute di Michelangelo Buonarroti e poi la realizzazione di quattro putti per la cappella di famiglia in Sant'Andrea della Valle. La qualità delle sue opere si attirò le attenzioni di un altro porporato, Scipione Caffarelli-Borghese, che nel 1618 decise di scommettere sul Bernini - all'epoca appena ventenne - affidandogli l'esecuzione di un piccolo busto raffigurante lo zio Paolo V. Acceso dalla genialità del giovane scultore, Scipione ne divenne un entusiasta mecenate, commissionandogli la realizzazione di opere che lo tennero impegnato dal 1618 al 1625. In questo lustro, infatti, Bernini diede prova della perizia raggiunta nelle sculture licenziando il gruppo raffigurante Enea, Anchise e Ascanio fuggitivi da Troia (1618-1619), il Ratto di Proserpina (1621-1622), il David (1623-1624) e l'Apollo e Dafne (1622-25);[7] queste sculture andarono tutte a ornare la lussuosa villa di Scipione Borghese fuori Porta Pinciana, «oggetto di stupore come una meraviglia del mondo». Intanto, la fama del Bernini andava sempre più consolidandosi. Oltre che nella scultura di grandi dimensioni, Bernini negli anni venti raggiunse risultati notevoli anche nella produzione di «ritratti teste con busto». In questo genere, Bernini realizzò ritratti straordinariamente vivi, con le espressioni dei visi, i gesti dinamici dei corpi e le pose drammatiche che restituivano all'opera una propria individualità psicologica, in netta antitesi con i busti severi e compassati che circolavano all'epoca: «[bisogna] far che un marmo bianco pigli la somiglianza di una persona, che sia colore, spirito, e vita», avrebbe poi detto trent'anni dopo. Altre realizzazioni di questo periodo furono il materasso che scolpì per l'Ermafrodito dormiente (1620), il restauro delle parti mutile del Fauno Barberini e alcuni interventi nella sezione inferiore dell'Ares Ludovisi. Urbano VIII riconobbe in Bernini l'artista ideale per realizzare i suoi progetti urbanistici e architettonici e per dare forma ed espressione alla volontà della Chiesa di rappresentarsi come forza trionfante, attraverso delle opere spettacolari, con uno spiccato carattere comunicativo, persuasivo e celebrativo. Imitando i papi rinascimentali, con Bernini Urbano VIII ambiva a consegnare alla storia un nuovo Michelangelo: era dai tempi di papa Giulio II, infatti, che il mondo artistico romano non assisteva a un mecenatismo tanto grande e illuminato. Per questo motivo, Urbano VIII commissionò al proprio protégé anche lavori di architettura e pittura, oltre che di scultura. La prima commissione ricevuta dal nuovo papa fu infatti di natura architettonica e fu legata alla ricostruzione della chiesa di Santa Bibiana, in occasione del ritrovamento delle reliquie della santa; Bernini ne scolpì anche la statua sull'altare, mentre la decorazione pittorica degli interni venne affidata a Pietro da Cortona. Il 5 febbraio 1629, invece, Bernini assunse la direzione dei lavori a San Pietro in Vaticano, succedendo a Carlo Maderno (che era morto sei giorni prima) nella prestigiosa e ambita carica. La basilica di San Pietro fu teatro di grandiosi interventi berniniani: il sepolcro di Urbano VIII, la statua del San Longino, il monumentale baldacchino di San Pietro, parati, arredi, e tanto altro ancora. Il baldacchino, al quale l'artista lavorava già dal 1624, è in particolare una struttura in bronzo posta a protezione e indicazione della tomba di San Pietro, primo pontefice della Chiesa cattolica; l'impianto, sviluppato su quattro colonne tortili lungo le quali si dipanano racemi e motivi naturalistici, termina con quattro volute sorrette da angeli che si incurvano a dorso di delfino e culmina con il globo e la croce. Malgrado si tratti di un'invenzione sostanzialmente berniniana, alla realizzazione del baldacchino partecipò anche l'architetto-assistente Francesco Borromini, che ideò le volute a dorso di delfino poste a coronamento dell'aereo ciborio; il Bernini avrebbe poi avuto con Borromini un rapporto estremamente conflittuale, che mutò in un'aperta ostilità sfociata nella leggenda. Oltre che alla scultura e all'architettura, dove raggiunse i risultati più grandi e duraturi, Bernini in questi anni si dedicò anche alla pittura, realizzando alcuni ritratti, autoritratti e due Santi, e alla realizzazione di impianti scenografici per occasioni particolari (canonizzazione di Elisabetta del Portogallo, 1625; di Andrea Corsini, 1629; catafalco per Carlo Barberini, 1630). Durante gli anni trascorsi al servizio di Urbano VIII, Bernini conobbe Costanza Bonarelli, figlia di uno stalliere: la simpatia si trasformò ben presto in intimità e i due furono divorati da un amore travolgente che durò circa due anni. Costanza era una donna bellissima, ma torbida e infedele. Correvano infatti delle voci che volevano la Bonarelli frequentare Luigi Bernini, fratello di Gian Lorenzo. Una mattina, quand'era ancora notte, Bernini decise di recarsi nella zona di San Pietro, dove era domiciliata Costanza: ma se sperava di poter finalmente smentire i pettegolezzi, così non fu, tanto che al sorgere del sole vide l'amante traditrice sull'uscio della propria dimora, mentre accompagnava Luigi fuori. Travolto dalla gelosia, Gian Lorenzo bastonò il fratello con un'asse di ferro, sino a rompergli due costole (e l'avrebbe ucciso se non fosse stato per l'intervento di alcuni passanti). Per vendicarsi su Costanza, invece, Bernini ordinò a un servo di sfregiarla con un rasoio. Dopo lo scandalo, Bernini sarebbe stato costretto a pagare un'ammenda; grazie all'intervento della madre, tuttavia, riuscì a sfuggire alla pena pecuniaria, nell'ottica (condivisa da Urbano VIII) che i pittori e i poeti potevano permettersi ogni libertà. Nell'immagine, il busto di Costanza Bonarelli, eseguito dal Bernini tra il 1636 e il 1638. Il patronato di Urbano VIII fu assai possessivo. Per conto dei Barberini, infatti, Bernini eseguì numerosissime opere: pensiamo ai busti di Antonio e Camilla Barbadori, genitori del papa, dello zio monsignor Francesco, del prozio Antonio e del nipote Francesco, ma anche alla costruzione del palazzo Barberini e all'esecuzione delle fontane del Tritone e delle Api, che pure rispondono a delle precise esigenze di esaltazione dinastica. Le opere estranee alla glorificazione barberina, invece, furono decisamente esigue: se l'esecuzione dei busti di Carlo I d'Inghilterra e del cardinale Richelieu fu autorizzata solo per motivi d'opportunità politica, un interdetto papale proibì al Bernini di completare il busto di Thomas Baker e ragioni analoghe impedirono l'ultimazione della versione originaria del busto di Giordano Orsini. L'unica opera di carattere privato che sfuggì alla censura pontificia fu il busto ritraente Costanza Bonarelli, l'amante segreta del Bernini: per approfondire il tumultuoso rapporto sentimentale tra i due, si consulti la nota integrativa «Costanza e Gian Lorenzo». Forse per consolarsi dell'amore tragico con Costanza, Bernini il 15 maggio 1639 sposò Caterina Tezio (morta nel 1673): si trattò di un matrimonio assai felice, coronato dalla nascita di undici figli. L'epicentro della maggior parte delle committenze chigiane, in ogni caso, ritornò rapidamente a essere San Pietro. Per la basilica vaticana Bernini progettò la cattedra di San Pietro, così da custodire la cattedra vescovile appartenuta a san Pietro, cimelio venerato da moltitudini di fedeli e pellegrini. Al di fuori dell'edificio Bernini eresse un imponente e solenne colonnato ellittico, a simboleggiare l'abbraccio della Chiesa che raccoglie il mondo intero; si venne così a creare piazza San Pietro, che oltre a risolvere efficacemente lo snodo tra la chiesa e la città, istituì un luogo fisico deputato alla devozione della comunità cristiana. I lavori a San Pietro terminarono con la costruzione della Scala Regia, l'ingresso ufficiale ai palazzi apostolici, e con la statua equestre di Costantino, a perenne memoria della prima sanzione politica del Cristianesimo. Bernini era ormai divenuto un artista di fama internazionale. A testimonianza della celebrità raggiunta, nel 1664 il ministro francese Jean-Baptiste Colbert per conto del re Luigi XIV convinse il papa a concedergli il suo artista prediletto, e così il 29 aprile 1665 l'ormai sessantaseienne Bernini partì per la Francia, con l'ambizioso intento, tra l'altro, di progettare la ristrutturazione del palazzo del Louvre. Prima della sua partenza aveva spedito due progetti. Dopo il suo arrivo redasse un terzo e definitivo progetto. Tuttavia, ben presto Bernini incominciò a dimostrarsi insofferente al clima artistico francese, maturando un'ostilità dovuta a delle divergenze d'idea in materia architettonica, a problemi pratici e di costi e a gelosie corporative: l'artista, addirittura, arrivò a pensare che in realtà dietro la committenza regia del Louvre si celava l'intento di mortificare Alessandro VII, portandogli via l'artista più importante di cui disponeva (tra la monarchia francese e il papato, in effetti, insistevano delle tensioni non indifferenti). Fu per questi motivi che l'esperienza francese durò pochi mesi: il 20 ottobre Bernini fece ritorno a Roma, dopo comunque aver assistito alla posa della prima pietra del suo progetto, che non ebbe alcun seguito. Per conto di Luigi XIV, in ogni caso, Bernini realizzò anche un monumento equestre, poi trasformato da François Girardon in un Marco Curzio che si getta nella voragine e relegato in un angolo appartato del parco di Versailles, presso la Pièce d'Eau des Suisses. Le sculture di Gian Lorenzo Bernini sono caratterizzate da un'elettrizzante dinamicità (con la quale viene sorpreso e fissato l'attimo di movimento delle forme), da un potente virtuosismo tecnico, da un'incontenibile esuberanza espressiva, da una vigorosa rappresentazione psicologica e da una scenografica teatralità. Oltre che scultore, Bernini fu anche architetto, specialmente negli anni della maturità. Risentì sia dell'influenza di Michelangelo, artefice di un'architettura plastica e chiaroscurale, sia delle rimanenze strutturali della Roma imperiale, edifici che riuscivano a coprire spazi di immense dimensioni con l'impiego di superfici curvilinee (in netto contrasto con quelle rettilinee di greca memoria). Bernini avrebbe poi misto l'insegnamento michelangiolesco e romano con la sua inesauribile vena inventiva, conferendo alle proprie architetture un senso nuovo della decorazione e del pittoresco. Nelle sue realizzazioni Bernini rilevava le masse, studiandole in modo che avessero un'armonia visiva e strutturale, giocava con la prospettiva e il colore, impiegava la forza plastica del chiaroscuro e fondeva armoniosamente le strutture e le membrature delle sue creazioni; non mancava, inoltre, di dare un effetto teatrale e scenografico a tutto l'insieme, fondendo in un'unica spazialità il rigore fisico dell'architettura con la preziosità pittorica, il virtuosismo delle sculture e la sbrigliata fantasia dello scenografo, quale Bernini era. Giunto dopo i cinquant'anni a una piena maturità architettonica, Bernini si attenne sempre più volentieri agli schemi classici puri, pur interpretandoli con una certa libertà. Nel palazzo di Montecitorio, per esempio, ruppe la monotona orizzontalità e compattezza di quella fronte scandendola in cinque campate, con reminiscenze classiche avvertibili anche nell'alto zoccolo. Bernini tornò alla concezione classica anche nel colonnato di piazza San Pietro, nel quale si sente l'eco dei portici curvi dei Fori Imperiali, però rivisitati con l'aggiunta tutta berniniana del coro di angeli e dell'effetto delle prospettive illusorie; quest'ultime, in particolare, furono riprese sempre in termini classici nella Scala Regia in Vaticano, così da amplificare agli occhi dell'osservatore la lunghezza del percorso. Per quanto riguarda le chiese, Bernini mutuò dai Romani l'adozione di una disposizione concentrica così da accrescere l'effetto visivo degli ambienti liturgici, creando una sensazione di maggior respiro; sperimentò inoltre la pianta ovale in Sant'Andrea al Quirinale, rotonda nella Collegiata di Santa Maria Assunta di Ariccia, e a croce greca in Castel Gandolfo. Fu in particolare il Pantheon, luogo che ebbe modo di conoscere e apprezzare lavorando al servizio di Urbano VIII, a esercitare su di lui un'influenza forte e duratura. Lo spirito del Pantheon, infatti, rivive nella partizione interna e nel presbiterio di Sant'Andrea, nella cupola, nelle archeggiature e nel pronao dell'Ariccia, e nella cupola di Castel Gandolfo. Al ricordo del Pantheon, tuttavia, Bernini associò la teatralità delle ornamentazioni barocche, e trasformò la pianta circolare in ovale, pur mantenendo inalterati gli schemi classici. Bernini fu anche pittore: a spronarlo a cimentarsi anche con il pennello fu Urbano VIII. Il sogno neo-rinascimentale con cui il papa Barberini voleva improntare il suo pontificato richiedeva che al suo fianco vi fosse un nuovo Michelangelo, paradigma dell'artista universale capace di eccellere in tutte e tre le arti maggiori. Al Bernini, già provetto scultore, già architetto con il rifacimento di Santa Bibiana, mancava per l'appunto la pittura. Lo fu essenzialmente per diletto personale, concentrando la sua produzione in dipinti di piccolo formato, dall'esecuzione rapida e naturalistica che in gran parte - almeno con riguardo ai pochi quadri oggi ragionevolmente riconducibili al suo pennello - sono costituiti da ritratti e autoritratti. Pur nella ristrettezza del catalogo pittorico attuale del Bernini, dalle sue opere note è possibile evincere che se Gian Lorenzo non fece della pittura un mestiere, egli era egualmente molto interessato a quest'arte, avendo riflettuto sulle opere dei maestri suoi contemporanei o delle generazioni precedenti. Nei suoi dipinti infatti si colgono influssi del Caravaggio e di Annibale Carracci, fino ad arrivare all'arte del grande Diego Velázquez che nel 1629-1630 aveva soggiornato a Roma. Le fonti biografiche attribuiscono al Bernini tra i centocinquanta e i duecento dipinti: anche al netto di possibili esagerazioni di questi numeri, il catalogo attuale dei quadri plausibilmente autografi si limita a una quindicina di opere: è ragionevole pensare pertanto che della produzione pittorica berniniana ci sia ancora molto da scoprire. Se Bernini limitò il suo personale intervento solo a piccoli dipinti di figura non commissionati da nessuno, in una certa misura e, per così dire, per interposta persona, egli ebbe comunque un ruolo di rilievo anche in alcune grandi commesse pubbliche. Gian Lorenzo infatti attrasse nella sua cerchia di aiuti e collaboratori, oltre che molti scultori, anche diversi pittori da lui utilizzati per la realizzazione di opere pubbliche da lui ideate, ma non personalmente eseguite (artisti che si occupavano anche del completamento pittorico di suoi lavori in campo scultoreo e architettonico, come nel caso degli affreschi della cappella Cornaro). Di ritorno dalla Francia, Bernini aveva ormai esaurito le proprie energie creative, a causa della vegliarda età: infatti, quando concluse nel 1678 il monumento all'amico pontefice Alessandro VII, era ormai ottantenne. Tra le opere degli ultimi anni vanno ricordate l'Estasi della beata Ludovica Albertoni in San Francesco a Ripa (1674), l'altare della cappella del Santissimo Sacramento a San Pietro con i due Angeli inginocchiati in adorazione (1673-74) e il busto di Gabriele Fonseca in San Lorenzo in Lucina. L'ultima grande impresa berniniana fu la realizzazione delle dieci statue degli Angeli con i simboli della Passione da collocare sul ponte Sant'Angelo; si trattò di una commissione voluta da papa Clemente IX, che in questo modo intendeva rappresentare la liturgia delle stazioni quaresimali della Via Crucis, così da trasformare il ponte in percorso di contemplazione. Negli ultimi anni della sua vita Gian Lorenzo, che era fervidamente credente, si dedicò sempre più alle esigenze dello spirito, con profondo interesse al problema della salvezza dell'anima dopo la morte terrena. Divenne così assiduo frequentatore della chiesa del Gesù e dei circoli ivi gravitanti, ove la preparazione alla buona morte di un cattolico era oggetto di meditazione e preghiera. Frutto di queste riflessioni dello scorcio estremo della sua esistenza sono alcune delle opere finali di Bernini, come il Sanguis Christi e il Salvator Mundi, che Gian Lorenzo fece per sé stesso e che lo accompagnarono nel momento del trapasso. Nel 1680 la salute di Bernini, già declinante, si aggravò a causa di una paralisi al braccio destro; visse il suo malanno in maniera ironica e giocosa, riconoscendo che era giusto che la sua mano destra si riposasse dopo così tanto lavoro. La sua infermità, tuttavia, peggiorò, sino a condurlo a morte . L'artista venne infine tumulato nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, nella tomba terragna di famiglia. Per volere dello stesso Gian Lorenzo, autore di così tante tombe monumentali e scenicamente architettate, la sua sepoltura è invece costituita da una modestissima lapide, posta a copertura di un gradino sul lato destro dell'altare maggiore.
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