(Borgosesia, 9 ottobre 1950 – Palermo, 3 settembre 1982)
è stata un'infermiera italiana, seconda moglie del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa.
Morì nella strage di via Carini in cui venne ucciso anche il marito, appena cinquantaquattro giorni dopo il loro matrimonio.È tumulata assieme al marito, nella tomba di famiglia, al cimitero della Villetta a Parma. Nacque da una famiglia della "borghesia buona" milanese, reduce di guerra e poi attiva nel commercio della lana. Il padre, Ferdinando Giulio Setti, era stato ufficiale volontario sul fronte greco albanese, e la madre, Maria Antonietta Carraro, ispettrice del Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana durante la seconda guerra mondiale e nella Repubblica Sociale Italiana. Aveva due fratelli, il medico Paolo Giuseppe e il mercante d'arte Giovanni Maria. Emanuela seguì l'impegno materno e si diplomò come infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana, la cui abilitazione prevedeva l'equiparazione alle mansioni di infermiera generica.
Prestò servizio in particolare presso l'Ospedale militare di Milano e
le sale operatorie dell'Istituto di Patologia Chirurgica dell'Università
di Milano, diretto da Ugo Ruberti.Prestò servizio anche alla caserma "Santa Barbara" di Milano, dove introdusse l'attività di ippoterapia con il determinante sostegno del Reggimento Artiglieria a Cavallo. Sposò il 10 luglio 1982 il generale Carlo Alberto dalla Chiesa
(vedovo dal 1978), dall'aprile prefetto di Palermo, dopo molte
titubanze da parte del generale, a causa della differenza di età (30
anni), e superate solo dalla convinzione e determinazione di Emanuela.
Il matrimonio venne celebrato, in forma privata, nella chiesetta di
Castel Ivano a Ivano-Fracena in Trentino. La sera di venerdì 3 settembre 1982, alle ore 21:15, ora dell'agguato mortale a Palermo, la donna era alla guida della sua A112
con a fianco il marito. I loro corpi furono rinvenuti crivellati di
colpi, con il generale che l'abbracciava come in un disperato tentativo
di proteggerla con il proprio corpo; secondo la ricostruzione, fu la
prima a essere colpita dal sicario.Dopo le raffiche di kalashnikov
contro la vettura, il sicario scese dalla sua motocicletta, girò
attorno alla vettura e con una pistola le sparò un colpo alla testa,
sfigurandola.
Pur non essendo la prima donna vittima della mafia, a quel tempo la sua
morte suscitò molte riflessioni sull'evoluzione della pratica mafiosa,
che aveva ormai abbandonato la regola "d'onore" di non uccidere le
donne. Sia la madre di Emanuela sia la collaboratrice domestica della
famiglia Dalla Chiesa a Palermo, hanno ripetutamente sostenuto che il
generale custodisse alcune carte relative o alla lotta contro il
terrorismo oppure alla lotta antimafiosa e che Emanuela fosse informata
della presenza di tali carte e su come usarle in caso di uccisione del
prefetto. Ai timori, espressi a tavola da Emanuela Setti Carraro
riguardo alla sicurezza di suo marito a Palermo, costui rispondeva di
stare tranquilla e "se mi fanno qualcosa tu sai che c'è il nero su
bianco e sai dove prenderlo". Tuttavia,
dopo la loro morte le chiavi della cassaforte di Villa Paino, la
residenza palermitana del prefetto, non furono trovate per 11 giorni, e
all'apertura della cassaforte, dopo il ritrovamento delle chiavi, la
stessa risultò vuota. In sede di commissione parlamentare d'inchiesta
si avanzò l'ipotesi che l'uccisione del prefetto fosse stata
pianificata congiuntamente a quella della moglie proprio per evitare la
divulgazione di eventuali documenti lasciati a lei dal prefetto. Dopo la sua morte le sono state intitolate numerose vie cittadine italiane.
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