Fratelli, venite, v’imploro,
venite nel funebre chiuso.
L’udite d’un rauco lavoro
l’anelito vasto e confuso?...
Becchini che scavano... E rossa
la luce di fiaccole ch’erra
nell’ombra; e ben grande è la fossa
che s’apre annerando sotterra;
ben molti son là su le bare,
là muti tra il rauco anelare,
che aspettano, in fila... Ribelli?
Guardate, o fratelli!
Cosi pazienti là, sopra
le bare! che aspettano muti
di scendere, al fin di quell’opra,
là dove non sieno veduti
mai più! Come forti le braccia
pur ieri, come acri i ginocchi!
Ma ieri era in lor la minaccia
tra i denti, la guerra negli occhi,
più nulla nei cuori, più nulla!
nemmeno la povera culla,
gemente lontano... Ribelli?
Guardate, o fratelli!
Dietro le palpebre, all’ombra,
dormono gli occhi, che ingombra
l’oblìo, che stupisce il mistero;
ma sul pallore del viso
vigila un fioco sorriso
qual lampada in un cimitero;
ma dalla fila pugnace,
ma dai ribelli (oh! ribelli! )
s’alza un bisbiglio, ch’è grido!
Fratelli!
una parola sorridono:
pace!
Chi spira nei giovani fieri
quel soffio di voce sì pia?
nel tremulo vecchio che ieri...
cessò di tremare per via?
nell’umile donna che ancora...
l’aspettano i figli col pane?
nei bimbi... destàti all’aurora
da suon di mortai, di campane,
da grida di festa?... Chi spira,
fratelli, a quel pianto, a quell’ira,
quel grido sì fievole e forte?
Fratelli, la Morte.
È fremito pallido e grave
sì come il sussurro soletto
di suora che mormori l’Ave-
marie presso un tacito letto;
è romba d’ignote campane
che cullano il mondo che dorme,
lontane nell’aria e sì piane
che appena vi lasciano l’orme;
un impazïente nitrito
che trema nel cielo infinito;
un urlo improvviso alle porte,
la voce tua, Morte!
Ella, o da presso ci parli
col rodìo lieve de’ tarli
notturni, o col bronzo dal cielo;
dice: «O mortali! mortali!
ch’al ventilare dell’ali
mie, rabbrividite di gelo:
ciò che un istante in me tace,
68tace per sempre. In cammino
per la caligine sola,
Caino,
tu non l’udrai la parola
di pace
mai più!» Così dice sommessa,
ma udita: da lei chi lontano?
non vista... Oh! vedetela! è dessa
che brilla su l’ermo vulcano,
che il cielo coi fulmini accende,
che rode all’abisso i pilastri,
che mugge nei mari, che pende
lassù taciturna dagli astri...
Lasciate alla Morte la guerra!
Voi, dite su l’umile terra:
«S’io pur fui cattivo, sii buono
tu dunque! perdono!»
Lasciate alla Morte la messe
degli uomini! O popolo umano,
nei campi che il fato ti elesse,
tu mieti pensoso il tuo grano!
Non sangue, non lagrime! Il sangue
lasciatelo nelle sue vene!
Schiudete la carcere esangue,
sciogliete le ignave catene!
Lasciate la morte alla Morte!
Voi stando su l’orride porte
gridate: «Tu sei ciò ch’io sono!
fratello, io perdono!»
Astro del fato, cometa
ch’erri nell’ombra inquieta
cercando la fragile terra,
astro, l’arrivi, e pur, muto
senti che n’esce l’acuto
bramire degli uomini in guerra:
passi in un attimo, o face
dell’infinito; sei lunge;
quando nei ceruli spazi
ti giunge
l’ululo d’odi non sazi:
poi... pace!
Pascoli Giovanni
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